Nel mio studio di psicologia, mi capita di osservare come il confine tra avere una malattia e la paura di avere una malattia possa apparire labile. Il dubbio s’insinua e si autoalimenta, facendo crescere sempre di più la paura di essere malati. È così che partendo da un sintomo fisico, come ad esempio un mal di testa, si può iniziare a pensare di avere delle gravi malattie e s’innescano dei comportamenti coerenti con quest’idea.
Nello specifico, viene utilizzato il termine ipocondria per indicare uno stato di preoccupazione eccessiva per la propria salute, pur in assenza di malattie.
Il bisogno di rassicurazione talvolta porta a cercare l’aiuto del medico generico o dello specialista, chiedendo loro di poter eseguire tutti gli esami clinici necessari a sciogliere i dubbi relativi al proprio stato di salute. Però, questo comportamento tranquillizza solo per un breve periodo di tempo e nella maggioranza dei casi, dopo qualche mese, le visite mediche ricominciano alla ricerca di nuove rassicurazioni.
L’altra faccia della medaglia dello stesso problema è presente quando si evita di affrontare il medico e gli esami clinici. La persona appare talmente spaventata dalla possibilità di avere una conferma sulla presunta patologia, che rimanda continuamente il “momento della verità”, rappresentato dal confronto con il medico. Spesso allora, si diventa degli esperti in medicina, ovvero ci si specializza nella lettura settoriale di riviste o libri che parlano di malattie, in modo da diventare i migliori soccorritori di se stessi. Anche in questo caso però, il comportamento messo in atto per risolvere il problema è poco funzionale alla sua risoluzione. Anzi lo complica, alimentando un circolo vizioso basato sulla paura: la persona partendo dalle proprie sensazioni fisiche → percepisce la paura della malattia → inizia la ricerca di rassicurazioni → percepisce un’ulteriore paura della malattia → che porta ad una maggiore ricerca di rassicurazioni, e così via…